Iosif Brodskij poeta russo a Ischia

L’amicizia tra l’isola d’Ischia e la Russia non è affatto recente. Risale al 1993 l’ultimo soggiorno del poeta russo Iosif Brodskij che dedicò all’isola e al suo amico Fausto Malcovati un’intensa poesia intitolata “Ischia ad ottobre”.
Furono due le volte che Brodskij approdò sull’isola; la prima volta conobbe l’isola grazie all’amicizia con Wystan Hugh Auden, il poeta inglese che soggiornò a lungo a Ischia restando ammaliato dalle sue atmosfere e dalla sua gente. Vi ritornò, poi, nel 1993, tre anni prima di morire e quel soggiorno contribuì a rafforzare ancora di più il legame con l’isola verde. In quell’occasione visitò l’isola in autunno con sua moglie Maria e la loro piccola Anechka.
A ospitarlo nella sua casa fu Fausto Malcovati e fu proprio per la riconoscenza verso quest’ultimo che vi dedicò la poesia dal titolo “Ischia ad ottobre”. Le origini vulcaniche dell’isola, le reminiscenze letterarie con Virgilio, Omero e Auden. Il pescatore e i panni stesi ad asciugare sulle spiagge, il vento autunnale che modifica l’andare delle onde del mare; è un’isola diversa da quella dell’estate, ma comunque bella nei suoi riti e nei suoi panorami.

Ischia ad ottobre
A Fausto Malcovati

Una volta qui ribolliva un vulcano.
Poi fu un pellicano a bucarsi il petto.
Non lontano viveva Virgilio,
Auden ci beveva vino a fiumi.

Oggi lo stucco si scrosta dai palazzi,
prezzi e conti non son piu’ quelli di una volta.
Ma io faccio quadrare in qualche modo
i miei versi svolgendo un’appannata “r”.

Il pescatore s’inoltra nell’oltremarino
via dalle coperte stese sul balcone,
l’autunno sferza i colli con un mare diverso
da quello che la deserta spiaggia frusta.

Dalla balaustra mia moglie e la mia bambina
guardano lontano, adocchiando il pianoforte
di una vela o un pallone aerostatico –
colpo smorzato di campana.

All’isola come variante del fato,
impensabile come bilancio del cammino,
si addice soltanto lo scirocco. Ma
neppure a noi è vietato

sbattere le imposte. E la corrente
che sparpaglia le carte è il segno
– sbrigati a voltarti! –
che qui non siamo soli.

Il guscio tenuto insieme con la calce,
che salva dall’impeto della fronte,
del sale, del vetusto martelletto,
rivela tre tuorli all’imbrunire.

Attorcendo i monogrammi delle buganvillee,
con il loro alfabeto mascherando
la sua vergogna, l’esigua terra
si vendica dello spazio con il verde.

Persone – poche, e sentendo “tu”
si induriscono i tratti, quasi
il linguaggio, a guisa di lente,
separasse il paesaggio dai volti.

E piu’ volentieri che verso il continente,
nel sentire “a casa” la mano tende il dito
in direzione della montagna
dove crollano e crescono mondi.

Siamo qui in tre, e scommetto
che quanto vediamo insieme e’ tre volte
piu’ senza fissa dimora e piu’ azzurro
di cio’ a cui Enea guardava.

Furono tanti i viaggi in Italia del poeta russo Iosif Brodskij e tra le tappe a Venezia immancabile fu quella nella vicina isola di Procida. Le reti dei pescatori, i tramonti che distraggono i vecchi seduti al bar a guardare le partite e quegli incredibili colori pastello delle case. Il volo dei gabbiani e la tranquillità della sera su lungomare ammantato di stelle.

Procida
Baia sperduta; non piu’ di venti barche a vela.
Reti, parenti dei lenzuoli, stese ad asciugare.
Tramonto. I vecchi guardano la partita al bar.
La cala azzurra prova a farsi turchina.

Un gabbiano artiglia l’orizzonte prima
che si rapprenda. Dopo le otto è deserto
il lungomare. Il blu irrompe nel confine
oltre il quale prende fuoco una stella.

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