Quando la bellissima Ingeborg Bachmann, scrittrice austriaca, approdò sull’isola erano appena gli anni ’50. Ischia era ancora profondamente legata alle tradizioni contadine e il turismo di massa era ancora un lontano miraggio. Quando la Bachmann arrivò a Forio era l’agosto del 1953 e il paese era in festa per San Vito, il Santo protettore della vite e del vino.
La scoperta dell’isola avvenne insieme con Hans Werner Henze, amico e amante della scrittrice, che lo raggiunse sull’isola. Gli alberi, il canto delle cicale e i fichi da mangiare con le mani e il formaggio di capra. Furono queste le atmosfere riprese dalla Bachmann in una delle sue poesie più famose dal titolo “Canti di un’isola”. La luce, l’odore del mare e i frutti di alle pareti delle case lungo le strade. Il via vai delle barche ad agosto, i riti della vendemmia e ancora le preghiere di un popolo devoto che accolse e stupì la Bachmann.
La scrittrice scomparve a soli 47 anni e la sua morte è avvolta ancora oggi nel mistero.
Canti di un’isola
Frutti d’ombra cadono dalle pareti,
luce lunare intonaca la casa,
e cenere di spenti crateri
entra col vento marino.
Tra gli amplessi di bei giovinetti
dormono i litorali,
la tua carne rammemora la mia:
già mi era incline
quando le navi
abbandonavano la sponda e croci
grevi della nostra spoglia mortale
facevano da alberature.
I luoghi di supplizio sono deserti, adesso:
ci cercano e non ci trovano.
Quando tu risorgi,
quando io risorgo,
non vi è pietra davanti alla porta,
non vi è barca sul mare.
Domani i tini rotoleranno
incontro alle onde domenicali;
noi arriveremo alla spiaggia,
coi piedi unti, laveremo i grappoli
e pigeremo a vino la vendemmia,
domani alla spiaggia.
Quando tu risorgi,
quando io risorgo,
il carnefice è appeso al portale,
il martello s’inabissa nel mare.
Dovrà venire la festa, un giorno!
Sant’Antonio, tu che hai sofferto,
san Leonardo, tu che hai sofferto,
san Vito, tu che hai sofferto.
Largo alle nostre preghiere, largo
a chi prega, largo alla musica e alla gioia!
Abbiamo imparato il candore,
ci uniamo al coro delle cicale,
mangiamo e beviamo,
le gatte magre strisciano
intorno alla nostra tavola:
fin che comincia la messa serale,
io ti tengo per mano
con gli occhi,
e un cuore tranquillo e coraggioso
a te sacrifica i suoi desideri.
Miele e noci ai bambini,
reti colme ai pescatori,
fecondità ai giardini,
luna al vulcano, luna al vulcano!
Oltre i limiti divampano le nostre scintille,
oltre la notte fanno ruota i razzi,
la processione sopra buie zattere
si allontana e il tempo cede
al mondo preistorico,
ai sauri striscianti,
alle piante lussureggianti,
ai pesci febbrili,
alle orge di vento e alle voglie
della montagna, dove una stella
devota si smarrisce, sul petto
le cade e si sfrange.
Siate perseveranti adesso, o santi stolti:
al continente dite che i crateri non hanno pace!
San Rocco, tu che hai sofferto,
o tu che hai sofferto, San Francesco.
Quando uno parte, deve gettare
in mare il cappello pieno di conchiglie
raccolte durante l’estate,
e andarsene con i capelli al vento.
Deve scagliare in mare la tavola
apparecchiata per l’amato,
deve versare in mare il vino
avanzato nel bicchiere,
dare ai pesci il suo pane
e mescolare al mare una goccia di sangue.
Deve infilare bene il coltello
dentro le onde e affondarci le scarpe,
cuore, àncora e croce,
e andarsene coi capelli al vento!
Allora sì, ritornerà.
Quando?
Non domandare.
Vi è fuoco sotto la terra,
e il fuoco è puro.
Vi è fuoco sotto la terra,
e roccia liquida.
Vi è un fiume sotto la terra,
che in noi si riversa.
Vi è un fiume sotto la terra,
che abbrucia le ossa.
Si avanza un grande fuoco,
si avanza un fiume sopra la terra.
Noi ne saremo testimoni.